FLAVIO FAVELLI

Flavio Favelli e Carlotta Pesce

Studio Carlotta Pesce ha il piacere di presentare:

FLAVIO FAVELLI Come into my life

Inaugurazione 11 ottobre 2014 dalle 18 alle 22
Casa Zanello, Via Belle Arti 31, Bologna

Carlotta Pesce ha il piacere di presentare la mostra personale di Flavio Favelli (Firenze 1967) dal titolo Come into my life, che si riferisce ad  un noto brano musicale, della fine degli anni Ottanta, della cantautrice americana Joyce Sims.
Il progetto espositivo si colloca in un luogo non deputato all’arte, concepito per nessuna esibizione e per nessun pubblico: uno spazio domestico bolognese, al primo piano di via Belle Arti 31, ormai spoglio e disabitato. In questo ambiente famigliare completamente svuotato, pervaso da un sentimento malinconico, dove le uniche presenze sono le impronte alle pareti degli antichi oggetti rimossi, è nata con grande immediatezza l’idea di questa mostra.

Le stanze vuote della casa di Via Belle Arti 31 raccontano storie del passato, conservano ricordi segreti, invisibili, e rivelano una forte corrispondenza con l’universo poetico di Flavio Favelli in cui si intrecciano immagini della sua memoria individuale e della memoria collettiva del nostro paese. Immagini cariche di suggestioni emotive che rievocano il vissuto personale dell’artista e parallelamente gli eventi storici e culturali dell’Italia degli anni Sessanta e Settanta. Favelli raccoglie instancabilmente, da antiquari e robivecchi, i mobili e gli oggetti d’uso comune che hanno fatto da sfondo alla sua infanzia difficile e solitaria. Attraverso decostruzioni ed assemblaggi, l’artista trasforma e ricompone frammenti di mobili, lampadari, specchiere, pavimenti, ringhiere, bottiglie, ceramiche, tappeti e luci al neon, creando suggestive sculture ed installazioni. Attraverso scomposizioni e giustapposizioni, elabora immagini frammentate che danno vita a nuove visioni. Prendono così forma i collage di francobolli, cartoline, carte di cioccolatini e figurine.

Tra le ombre e le tracce del passato delle pareti della casa di Via Belle Arti 31, trovano una loro perfetta collocazione grandi collage ambientali ed installazioni luminose che evocano ricordi privati dell’esistenza dell’artista ed elementi della cultura pop degli anni Settanta e Ottanta.

Falvio Favelli, nato a Firenze nel 1967, vive e lavora a Savigno (Bologna). Tra i maggiori protagonisti nel panorama artistico italiano delle ultime generazioni, ha partecipato a due Biennali di Venezia: la 50° (“Clandestini”, a cura di F. Bonami) e la 55° (“Vice versa”, Padiglione Italia a cura di B. Pietromarchi). Ha esposto in prestigiosi spazi pubblici e privati in Italia e all’estero. Le sue opere sono presenti in importanti collezioni pubbliche e private come la Galleria d’Arte Moderna e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino; Mambo, Bologna Fiere e Fondazione Furla a Bologna; La Maison Rouge e Fondation Antoine De Galbert a Parigi, Collezione La Gaia a Cuneo, Civiche Raccolte d’Arte e Fiera Milano a Milano; MACRO e Nomas Foundation a Roma; Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce a Genova; Zabludowicz Collection a Londra; Collezione Elgiz a Istanbul e Collezione Unicredit Banca; nel 2008 il Museo MAXXI di Roma ha acquistato una sua grande installazione dal titolo “La Terza Camera”.

Flavio Favelli
Come into my life

Era la fine degli anni 80, Jean Paul Gautier aveva presentato dei completi maschili con colori acidi e il video How to do that. Nell’88 alla Sala Borsa ci fu una grande festa per tutta la notte per la  Biennale, c’erano tanti artisti della Jugloslavia che pochi anni dopo sarebbe venuta giù. Il capodanno prima lo passai in auto, in via Indipendenza, era tutto bloccato, con la mia Milletrecento Fiat, ereditata dal mio nonno, cambio al volante, alza antenna elettrico e sedili in pelle amaranto, tenevo sempre qualche coppa -allora mi piaceva più del flute- in auto, per uno spumante che poteva sempre capitare.
Al Kinki una notte venne De Michelis, il Ministro degli Esteri, l’Italia era il quinto paese del mondo. Io non ero un purista di Jean Paul Gautier, lo abbinavo con libertà a qualche capo militare e a qualcosa della Vivienne che si trovava solo a Firenze.
Alla notte, in via Guerrazzi, dove abitavo, non c’era mai parcheggio e così andavo al Baraccano, per andare a casa passavo a piedi per l’enorme arco del portico, fuori scala rispetto a quelli di Via Santo Stefano e poi, nello slargo Garganelli, sotto quello di un palazzo, forse il mio preferito di Bologna: grigio, spettrale, razionale, austero, quasi misterico, oggi restaurato e ridipinto con un orrendo colore crema.
Andavo spesso in giro con Sanà, veniva dalla Tunisia, ma allora nessuno sapeva nulla nè degli arabi nè dell’Islam, abitava in una casa occupata vicino a via Azzurra, un tubo rosso di quelli che si usano per innaffiare il giardino attraversava tutte le camere e portava il gas per la stufa. In quella casa ho sentito Come into my life di Joyce Sims.
Tante voci, allora, già chiamavano.

Quando visitai l’appartamento di via Belle Arti dei genitori di F., mi parve enorme.
Non perchè fosse vuoto dagli arredi, senza tende e senza quadri alle pareti, ma era grande in altri modi. Psicologicamente grande.
Le case parlano di più quando sono vuote. Mi sono sempre sentito a disagio quando ho fatto un trasloco; nel lasso di tempo, molto delicato, fra lasciare la casa vuota e arrivare nella nuova, altrettanto spoglia, tutto si intreccia, fra immagini, ricordi e speranze. Il trasloco con mobili è un momento cruciale nella nostra storia moderna. A differenza dei miei amici studenti fuorisede, che se la cavavano con pochi scatoloni, i traslochi che ho vissuto sono sempre stati completi e totali, con camion e facchini. Vere operazioni di sradicamento assoluto da case piene di stanze e di arredi che a loro volta venivano da altre case e da altre storie della famiglia.
Quando visitai l’appartamentoho pensato che potevo in qualche modo abitare questo grande spazio vuoto di oggetti e pieno di immagini. Come in un culto degli antenati, prima dell’alienazione, si celebra lo spirito delle stanze. Nel solco degli avi e delle loro squisite attenzioni moderne, i muri e le superfici iniziano a brillare come diamanti.
Come into my life, chiamano i riflessi.